La Battaglia di Legnano del 29 Maggio 1176

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Si può dire che la battaglia di Legnano avvenne per caso.La decisione di muovere contro il Barbarossa era maturata da tempo, ma la mattina del 29 maggio 1176 l’esercito dei Comuni non era ancora pronto ad accogliere l’impertaore tedesco.
Nell’ultima settimana di maggio era opinione diffusa che il nemico non fosse ancora arrivato a Bellinzona, quindi la mattina dello scontro una parte delle truppe era in marcia sulla strada di Legnano, mentre il grosso della fanteria era di stanza Milano,invece Federico I era molto più vicino di quanto si pensasse, e dopo aver passato la notte accampato a Cairate si rimise in marcia per raggiungere Pavia e attraversare il Ticino.
In testa alla colonna dell’esercito tedesco quella mattina c’era un gruppo di trecento o cinquecento cavalieri, che passando a sud del comune di Busto Arsizio finirono per incappare in una squadra di esploratori lombardi.
Il primo contatto avvenne sul territorio di Borsano: secondo i documenti dell’epoca l’avanguardia tedesca era in inferiorità numerica, ma presto fu raggiunta dal grosso dell’esercito imperiale: nonostante gli fosse stato consigliato di ordinare la ritirata il Barbarossa attaccò con vigore i lombardi e li costrinse alla fuga.
Secondo i cronisti dell’epoca l’intenzione dei lombardi era quella di ripiegare fino al Carroccio, per ricongiungersi col grosso della cavalleria che era di stanza a Legnano, invece la ritirata si trasformò in una fuga disordinata e l’esercito dei Comuni fu investito dal panico.
I migliori cavalieri di Milano e Brescia abbandonarono il campo lasciando scoperto un lato del Carroccio, mentre dall’altra parte restarono solo i fanti che non sarebbero comunque potuti scappare davanti ai cavalli del nemico.
Insomma: attorno al Carroccio durante la prima fase della battaglia restò solo chi non poteva scappare, anche perchè alle spalle un fossato sbarrava la strada sia agli assalitori che agli assaliti.
A quel punto le linee dei fanti si strinsero seguendo istintivamente il modello della falange latina , ma le cariche della cavalleria tedesca si fecero via via più devastanti.Le prime quattro linee di difesa crollarono una dopo l’altra, mentre la quinta riuscì a resistere.
Le cariche della cavalleria imperiale durarono a lungo, e nel frattempo i cavalieri lombadi che secondo una fonte attendibile si erano fermati a meno di un chilometro oltre il Carroccio, si ricongiunsero con le truppe fresche che nel frattempo erano arrivate da Milano.
I lombardi si riorganizzarono, quindi decisero di soccorrere i fanti che ancora difendevano il carro attaccarono di sorpresa le truppe già fiaccate dai ripetuti assalti.Secondo gli storici tedeschi l’agguato decisivo fu teso dai cavalieri bresciani, che in un’unica azione uccisero il portatore delle insegne imperiali e costrinsero il Barbarossa a fuggire abbandonando il proprio cavallo.
La scomparsa dell’imperatore e delle insegne gettò nel panico il resto dell’esercito, che si lanciò in una disordinata fuga in direzione del Ticino.Secondo gli storici dell’epoca i tedeschi scapparono per 14 chilometri, ma la rotta non salvò le centinaia di guerrieri che furono trafitti o annegarono nel fiume.
Sul campo restarono invece i comaschi, che vennero fatti prigionieri dai vincitori.
Il sole ormai stava per calare, ma l’esercito imperiale aveva subito una delle sue disfatte più rovinose.Le fasi della battaglia sono state ricostruite da Giorgio D’Ilario, Egidio Gianazza e Augusto Marinoni nel libro “La Battaglia di Legnano” edito in occasione dell’ottavo centenario della vittoria sul Barbarossa.
Per le loro ricostruzioni gli autori del testo si sono avvalsi delle testimonianze degli annalisti che all’epoca dei fatti prestavano il loro servizio per conto dei Comuni, dell’Impero e della Chiesa Romana.

Il Carroccio

Il carro trainato dai buio che l’ultima domenica di maggio sfila per le vie della città riassume tutto lo spirito della Sagra e rappresenta il simbolo attorno al quale, nella mattinata del 29 maggio 1176, si strinsero i guerrieri della Lega dei Comuni.
Quella mattina il Carroccio partì dalla chiesa milanese di San Simplicianoportando la croce donata dall’arcivescovo Ariberto d’Intimiano come simbolo di alleanza; sul pennone più alto del carro sventolava l’insegna dei comuni lombardi e, secondo la tradizione medievale, la battaglia avrebbe dovuto continuare fino a quando la bandiera non fosse stata strappata dal nemico.
Grazie alla forza ed al valore dei cavalieri che difesero il Carroccio, la bandiera resistette agli attacchi degli uomini del Barbarossa e così la compagnia della Morte, guidata dal leggendario Alberto da Giussano, ebbe modo di sferrare l’attacco deciso che costrinse alla fuga l’imperatore.Il carro che sfila ogni ultima domenica di maggio è una fedele riproduzione dell’originale: le travi e le ruote sono di legno massiccio per meglio sopportare la violenza della battaglia mentre dietro al pennone, sul quale è fissata la croce lobata, c’è una campana.

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Questa “martinella” serviva per richiamare “pedites” (cioè i fanti) e cavalieri invitandoli a serrare i ranghi attorno al Carroccio.
Un’ultima curiosità : per tutta la durata della battaglia un prelato restò sul carro invocando la benedizione di Dio sui combattenti.
Secondo la leggenda, questa benedizione arrivò subito all’inizio dello scontro sotto forma di tre colombe bianche: i tre volatili simbolo dell’alleanza tra Dio e gli uomini si posarono proprio sul pennone del Carroccio e non se ne andarono fino a quando l’esercito dell’imperatore non fu costretto alla ritirata.
Il carro sacro di battaglia fu ideato dagli eserciti dei grandi centri economici e militari dell’alta Italia, che lo utilizzarono per circa trecento anni a partire dall’XI secolo.
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L’uso del carro era diffuso soprattutto in pianura, perchè il peso e le dimensioni della sua struttura erano tali da renderne particolarmente difficile l’impiego sui pendii.
Per ottenere un’ attendibile descrizione del Carroccio è però necessario rivolgersi direttamente alle antiche fonti.
Secondo quanto riportato dagli annalisti che fissarono la storia della Lombardia medievale.
Le città che per tradizione ricorsero all’uso del Carroccio furono Brescia, Cremona, Milano, Padova e Vercelli.
In tutti i casi il sacro carro è descritto come un mezzo dalle dimensioni superiori alla norma.
Per tirare i carri da guerra di ognuna delle cinque città sopra menzionate occorrevano da tre a quattro paia di buoi, perchè il pianale era tanto alto da permettere al capitano d’armi di controllare lo svolgimento della battaglia e al tempo stesso tanto robusto da resistere agli attacchi dei nemici e alle insidie dei campi.
Le descrizioni degli annalisti concordano pure nel menzionare per ciascuno dei carri un pennone, una campanella ed una croce: in tutti i casi il pennone serviva a reggere il vessillo dell’esercito raccolto attorno al Carroccio, mentre la campana (“martinella” per i milanesi, “Nola” per i cremonesi e “Berta” per i padovani) serviva a scandire i tempi del trasferimento e a chiamare a raccolta gli armati durante la battaglia.
La croce aveva invece il valore simbolico che anche oggi le è universalmente riconosciuto dalla cristianità : posta solitamente alla base del pennone serviva a richiamare i valori della fede e del sacrificio, ricordando al tempo stesso a pedites e cavalieri che Dio era sceso in campo al loro fianco.
Nell’ottica medievale proprio quest’ultimo aspetto era in assoluto il più importante: per gli uomini d’arme che come tutti i loro contemporanei impostavano la loro esistenza terrena in funzione del rapporto con il divino, combattere fianco a fianco con il simbolo della cristianità era assolutamenteindispensabile. Logico quindi che la croce fosse considerata come il cuore del carro di battaglia, e che quindi fosse sistemata nel punto più protetto ed inaccessibile.
I cinque carri delle città lombarde erano accomunati anche dagli scudi che venivano sistemati sulle fiancate, dalla presenza di un piccolo altare, di una teca e di un timone.
L’altare serviva per celebrare degnamente le funzioni religiose che precedevano e seguivano la battaglia , mentre nella teca (che poi non era altro che un vano ricavato nel pianale all’altezza dell’asse posteriore) venivano sistemate le bende per i feriti e la cassa dell’esercito.
Per il timone urgono invece dei distinguo: a volte la barra è ricordata come eccezionalmente lunga, mentre in altri casi le dimensioni sono più contenute.
Allo stesso modo secondo le relazioni degli annalisti il timone fu sempre realizzato in modo da non lasciare alle ruote anteriori la possibilità di sterzare, tuttavia i resti del Carroccio di Cremona testimoniano come nella parte anteriore del pianale sia stato praticato un foro che avrebbe dovuto ospitare un perno di snodo.
Dal momento in cui veniva costruito il Carroccio veniva conservato nel duomo della sua città : quando le esigenze di mobilità dettate dalle nuove strategie di battaglia decretarono la fine della secolare tradizione nelle chiese furono comunque custodite le tre “parti vitali” del carro, e cioè timone, la campana e naturalmente la croce.
Ognuno dei tre pezzi era considerato sacro, quindi la città doveva difenderlo dalla rapacità di eventuali nemici e impedire in qualsiasi caso che andasse perso o distrutto, perché la ricostruzione di uno dei tre pezzi sarebbe stato considerato un disonore per tutto il Comune.
Cercare di descrivere più a fondo il carro simbolo della città Milano significa per forza di cose scontrarsi con un muro di leggende e di notizie riportate che vanno a scapito della precisione storica perchè del carro che nel XII secolo accompagnò i milanesi nelle loro battaglie non esistono disegni o descrizioni precise. Di certo c’è che i lati del Carroccio erano protetti con scudi recanti le insegne delle sei porte del Comune, e cioè di Porta Vercellina, Porta Nuova, Porta Romana, Porta Ticinese, Porta Orientale e Porta Comasina.
Secondo testimonianze attendibili l’altare era stato addobbato con le figure dei santi Simpliciano, Ambrogio, Gervaso e Protasio, e per essere meglio visibile era sollevato da un gradino rispetto al livello del pianale.
Sopra l’altare la croce lobata che ancora oggi è conservata all’interno del duomo di Milano, donata dall’arcivescovo Ariberto da Intimiano in segno di alleanza.
Secondo le cronache lo stesso Ariberto aveva fatto allestire il Carroccio ordinando di adattare al nuovo scopo un massiccio carro da battaglia di origine longobarda, così che alla fine i milanesi ottennero un “mostro” alto tre metri, largo due e lungo quattro e mezzo.
Un’ultima curiosità : il pennone cui era agganciato il gonfalone con i colori della città era sovrastato da una sfera dorata, che riflettendo i raggi del sole rendeva visibile il Carroccio anche oltre l’orizzonte.